Nel dicembre 2025 il riconoscimento della cucina italiana come Patrimonio culturale immateriale dell’umanità da parte dell’UNESCO è stato presentato, in Italia e all’estero, come il suggello definitivo al valore culturale di un sistema gastronomico fondato su pratiche sociali, trasmissione familiare, ritualità quotidiane e un fortissimo radicamento territoriale.
Proprio questo riconoscimento, però, ha reso ancora più visibile un fenomeno che nasce ben prima del 2025 e che accompagna da anni la fortuna globale della cucina italiana: la sua esposizione costante a critiche, dileggi e veri e propri attacchi più o meno simbolici provenienti dall’estero, spesso promossi da grandi testate internazionali e non riducibili a semplici provocazioni marginali.
Già prima dell’UNESCO, uno dei casi più noti e verificabili risale al febbraio 2021, quando il New York Times pubblicò una ricetta denominata Smoky Tomato Carbonara. Il nome, associato all’uso di pomodoro in un piatto universalmente percepito come privo di questo ingrediente, scatenò una reazione immediata in Italia e divenne notizia internazionale. The Guardian e altre testate anglosassoni raccontarono la vicenda come esempio emblematico dello scontro tra reinterpretazione creativa e uso improprio di un nome tradizionale.
Non si trattò di una semplice divergenza culinaria, ma di una critica indiretta alla pretesa italiana di fissare confini identitari rigidi, spesso raccontata con ironia o sarcasmo.
Negli anni successivi, la carbonara è rimasta uno dei principali terreni di scontro . Tra il 2020 e il 2024, versioni del piatto firmate da celebrity chef internazionali in particolare da Gordon Ramsay sono state ripetutamente al centro di articoli e commenti che, pur partendo da una ricetta, hanno assunto toni di scherno verso quella che veniva descritta come un’“ossessione italiana” per l’autenticità. Testate internazionali hanno spesso presentato la reazione italiana come sproporzionata o folkloristica, trasformando la difesa di una tradizione in un motivo di ridicolizzazione.Il 2024 ha segnato un salto di qualità nella dimensione industriale e mediatica della polemica. Nell’estate di quell’anno, la multinazionale Heinz ha annunciato per il mercato britannico il lancio di spaghetti alla carbonara in lattina.
La notizia è stata ripresa da testate come Le Monde,
The Guardian e Food & Wine, che hanno documentato l’indignazione di cuochi e commentatori italiani.In molti articoli stranieri, però, la vicenda è stata raccontata con un sottotesto ironico: l’Italia veniva descritta come incapace di accettare la modernità e la praticità industriale, mentre la “carbonara in scatola” diventava quasi una caricatura della cucina italiana stessa. Anche in questo caso, l’elemento offensivo non stava solo nel prodotto, ma nel modo in cui la reazione italiana veniva narrata all’estero.
Sempre nel 2024, la critica si è fatta più esplicita. Nel maggio, la rivista britannica The Spectator ha pubblicato un articolo dal titolo inequivocabile: “Admit it Italian food is rubbish”. Si tratta di uno dei rari esempi recenti di attacco frontale e generalizzato, non rivolto a una singola ricetta ma all’intera cucina italiana, definita sopravvalutata e mitizzata. Il pezzo, volutamente provocatorio, ha avuto ampia eco proprio perché superava il livello della satira culinaria per entrare in quello della denigrazione culturale.
Nello stesso anno, un episodio apparentemente minore ma significativo è stato documentato da Reuters durante le Olimpiadi di Parigi: dopo una finale di scherma controversa, sui social media sono circolati meme e provocazioni che utilizzavano la pizza con l’ananas come insulto identitario rivolto agli italiani. Reuters ha raccontato il caso come esempio di come la cucina italiana venga usata consapevolmente come strumento di scherno nazionale, non più solo come oggetto di discussione gastronomica.
Nel 2025, alla vigilia del riconoscimento UNESCO, nuove polemiche hanno confermato la persistenza del fenomeno. In estate, il sito britannico Good Food ha pubblicato una ricetta di cacio e pepe che prevedeva burro e parmigiano. La reazione italiana non si è limitata ai social: un’associazione di categoria romana ha protestato formalmente, e la vicenda è stata riportata da media internazionali come esempio di scontro tra tradizione e adattamento. Ancora una volta, il racconto estero ha spesso assunto toni ironici verso quella che veniva descritta come rigidità italiana.
Pochi mesi dopo, nel novembre 2025, The Guardian ha dato spazio alla protesta italiana contro la vendita di sughi “italian sounding”, inclusa una “carbonara”, nel negozio del Parlamento europeo a Bruxelles. Il caso è stato presentato come simbolo delle tensioni tra tutela culturale e libero mercato, ma anche come dimostrazione di quanto l’italianità gastronomica venga frequentemente banalizzata o deformata in contesti istituzionali e commerciali stranieri.
Infine, subito dopo l’annuncio ufficiale dell’UNESCO nel dicembre 2025, è arrivata una delle reazioni più clamorose. Il critico gastronomico britannico Giles Coren, sulle pagine del Times, ha definito il riconoscimento alla cucina italiana una sorta di “truffa”, sostenendo che l’UNESCO si fosse fatta sedurre da un mito e attaccando frontalmente la reputazione della gastronomia italiana. La polemica è stata ripresa da numerosi media italiani e internazionali, non tanto per il valore delle argomentazioni quanto per il tono apertamente sprezzante, che ha reso evidente come l’UNESCO non abbia messo fine alle critiche, ma anzi le abbia inasprite.
Guardando retrospettivamente agli anni passati, emerge un quadro chiarissime: la cucina italiana non è stata criticata solo per gusto personale o divergenze tecniche, ma è diventata un bersaglio simbolico perché rappresenta un’identità culturale forte, un marchio economico globale e, ora, un patrimonio riconosciuto a livello internazionale. Le offese e le derisioni documentate negli ultimi anni dalle ricette stravolte ai titoli provocatori, dai prodotti industriali ai meme sportivi non sono episodi isolati, ma manifestazioni di un conflitto più ampio tra autenticità, mercato globale e narrazione mediatica. Proprio in questo senso, il riconoscimento UNESCO del 2025 non chiude la storia, ma la rende definitivamente storica: certifica che ciò che viene attaccato, deriso o deformato non è soltanto un insieme di piatti, ma un patrimonio culturale vivo e ricchissimo, oltre che incredibilmente invidiato, abbastanza potente da suscitare reazioni anche ostili ben oltre i confini italiani.

