Ucraina, Medio Oriente, flussi migratori ed eventuali sinergie tra Italia e Ungheria a sostegno delle rispettive capacità industriale anche attraverso lo strumento Safe, il fondo europeo che fornisce agli Stati membri prestiti a lungo termine per investire nella difesa. Sono sopratutto questi i temi sul tavolo del colloquio tra Giorgia Meloni e Viktor Orbán, ricevuto ieri a Palazzo Chigi dopo che in mattinata era stato in Vaticano per un udienza con Leone XIV.
Un'ora di faccia a faccia, preceduto dal flashmob di +Europa che protesta contro il premier ungherese e seguito da una lunga sfilza di critiche da parte delle opposizioni che chiedono a Meloni di "prendere le distanze". Una richiesta incomprensibile, secondo Antonio Tajani. Perché, dice, il fatto che la premier incontri il presidente del Consiglio di un altro Stato "non significa che ha la stessa posizione e che fa le stesse cose". "Orbán è andato pure dal Papa e allora significa che il Papa la pensa come Orbán? In politica internazionale - aggiunge il vicepremier e ministro degli Esteri - non è che si parla solo con chi la pensa come te". Peraltro, conclude Tajani, "che Meloni faccia quello che dicono gli altri mi pare strano" perché "è una che ha le sue idee e va per la sua strada".
E certamente su diversi dossier - a partire dalla guerra in Ucraina e dal rapporto con Mosca - Meloni e Orbán non sono sulla stessa lunghezza d'onda. Proprio poco prima di arrivare a Palazzo Chigi, peraltro, il premier ungherese ha ribadito le sue critiche all'Ue. "L'Unione europea non conta nulla. Donald Trump sbaglia su Putin, andrò da lui per fargli togliere le sanzioni alla Russia", dice a Messaggero e Repubblica. "Abbiamo appaltato agli americani e ai russi la possibilità di risolvere la guerra. Purtroppo, non abbiamo un ruolo. L'Europa è totalmente fuori dai giochi", aggiunge.
D'altra parte, che il premier ungherese sia apertamente schierato dalla parte di Vladimir Putin non è certo un mistero. Anzi, al Consiglio europeo della scorsa settimana l'Ungheria ha posto il veto sulle conclusioni a sostegno dell'Ucraina per la quarta volta consecutiva. Ed è proprio grazie al potere di veto che l'ungherese - come pure il premier slovacco Robert Fico - ha più volte paralizzato le istituzioni Ue. Circostanza che secondo Meloni non è però sufficiente a giustificare "il superamento dell'unanimità" in Europa. Perché, ha detto la premier in Senato la scorsa settimana, "sarebbe utile per l'Ucraina", ma "varrebbe anche su molti altri temi" dove "le posizioni della maggioranza potrebbero essere abbastanza distanti dalle nostre e dai nostri interessi nazionali".
E la questione ucraina è certamente stata al centro dell'incontro a Palazzo Chigi (questa mattina invece Orbán vedrà Matteo Salvini). Il leader di Fidész, infatti, forte del suo solido rapporto con Putin ha provato a ritagliarsi un ruolo di mediazione tra Trump e il Cremlino tanto che Budapest sarebbe dovuta essere la sede di un eventuale incontro tra il presidente americano e quello russo. Il fatto che il dialogo si sia raffreddato e che l'incontro in Ungheria sia congelato rischia però di mettere all'angolo Orbán, soprattutto se la Casa Bianca continuerà a tirare dritto su posizioni di embargo economico-commerciale contro Mosca, una stretta che finirebbe per colpire duramente l'Ungheria.
Meloni, da parte sua, continua a muoversi sulla scena internazionale non perdendo di vista l'asse con gli altri leader europei conservatori - da Trump all'argentino Javier Milei con cui ieri si è congratulata per le elezioni di medio termine - ma cercando di proporsi come mediatrice. Ragione per cui ieri avrebbe provato a sondare il premier ungherese per evitare un ennesimo veto sull'Ucraina, magari seguendo strade alternative come uscire al momento del voto e in cambio portare a casa il via libera su altri dossier cari a Budapest.

