nostro inviato a Bruxelles
Giorgia Meloni lascia l'aula del Senato quando sono da poco passate le sette e mezzo di sera e a dichiarazioni di voto ancora in corso. Destinazione Bruxelles, per "arrivare in un orario ragionevole". Non tanto per fare almeno un salto al vertice Ue-Balcani occidentali che si tiene a cena, quanto perché quello in programma oggi è forse uno dei Consigli europei più delicati degli ultimi anni ed è la stessa premier a non escludere che "in nottata possano esserci importanti interlocuzioni informali". Magari proprio all'hotel Amigo, dove solitamente alloggiano non solo Meloni e la delegazione italiana ma anche il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Friedrich Merz. D'altra parte, riferiscono fonti diplomatiche, "il clima ricorda quello della crisi greca" del 2009 "con riunioni fiume per elaborare soluzioni finanziarie creative".
D'altra parte, la partita dell'eventuale utilizzo degli asset russi congelati per il prestito all'Ucraina (135 miliardi nel prossimo biennio, spiega Ursula von der Leyen) è ancora in alto mare. Per i dubbi non solo del Belgio (che ospita la stragrande maggioranza dei beni di Mosca presso la società di servizi finanziari Euroclear), ma anche di Italia, Ungheria, Slovacchia, Bulgaria, Repubblica Ceca e Malta. Tutti preoccupati non solo dai rischi legali di una simile azione (che non ha precedenti), ma anche di eventuali ricaschi sulla stabilità finanziaria dei singoli Paesi e di eventuali ritorsioni di Mosca sulle aziende che ancora operano nel territorio russo.
Per tutte queste ragioni, sono giorni che Meloni da una parte conferma la volontà di volere continuare a difendere e sostenere l'Ucraina, ma dall'altra predica cautela sullo strumento finanziario ipotizzato a Bruxelles (una strada che permette di procedere a maggioranza semplice ed evitare il veto, scontato in ogni caso, di Ungheria e Slovacchia). La premier, peraltro, in privato avrebbe manifestato più di una perplessità sul modus operandi della Commissione Ue, tanto che fonti diplomatiche italiane non mancano di sottolineare come forse si sarebbe dovuto "correre meno" e "dedicare più tempo a cercare strade alternative".
Tra cui un'ipotesi potrebbe essere anche quella transitoria e non definitiva di un prestito-ponte all'Ucraina che sarebbe quantificato in 5,5 miliardi per ogni mese. In attesa di trovare la quadra su una soluzione meno provvisoria e, magari, con lo sguardo ai negoziati in corso tra Stati Uniti, Ucraina e Russia. Una strada che eviterebbe o comunque farebbe slittare quello che rischia di essere un delicato passaggio parlamentare. Un via libera sull'utilizzo degli asset russi, infatti, dovrebbe essere approvato dai singoli Parlamenti nazionali, così da autorizzare l'ok alla concessione al Belgio delle garanzie per far fronte a eventuali rischi per l'esposizione di Euroclear.
Un passaggio, insomma, che rischia di acuire i distinguo nella maggioranza sul conflitto tra Russia e Ucraina. In particolare con la Lega di Matteo Salvini, visto che il vicepremer è sempre stato molto critico sul sostegno economico a Kiev.

