Quando il freddo si è messo a vestire la moda

Scritto il 18/12/2025
da Valeria Braghieri

A Cortina nel '56 la montagna diventa glamour e inizia la rivoluzione dell'abbigliamento da neve

La storia dell'abbigliamento invernale non nasce nelle boutique, ma nei luoghi dove il freddo non è un vezzo estetico. Nasce dove il gelo punge, il vento scompiglia, l'umidità si insinua sotto la pelle. Ma poi anche una certa estetica ha contribuito allagarci gli occhi di benevolenza. Le Olimpiadi invernali, molto prima di Instagram e delle sfilate après-ski, sono state il più serio laboratorio di moda tecnica del Novecento. Non per bellezza, ma per sopravvivenza. Ed è proprio da lì che l'inverno, lentamente, ha smesso di essere un nemico e ha iniziato a diventare uno stile.

Negli anni Trenta e Quaranta gli atleti olimpici sembrano usciti da una spedizione polare. Lana ruvida, cotone pesante, cappotti adattati allo sport con una certa dose di improvvisazione. Il corpo non viene assecondato, viene protetto come si può. Le silhouette sono goffe, stratificate per accumulo più che per progetto. Il freddo non si governa, si subisce. La moda osserva da lontano, ancora convinta che l'eleganza sia una questione da interni riscaldati.

Poi arriva Cortina 1956 e succede qualcosa che non ha a che fare solo con lo sport. L'Italia porta sulle Dolomiti un'idea nuova: che anche sulla neve si possa apparire. Le tute si fanno più aderenti, i colori si schiariscono, il bianco diventa protagonista. Non è ancora una rivoluzione tecnica, ma è una svolta culturale. Cortina non inventa nuovi materiali, inventa un immaginario. La montagna smette di essere solo fatica e diventa scenario. Nasce il glamour alpino, una promessa che la moda raccoglierà con entusiasmo.

Negli anni Sessanta e Settanta la tecnologia entra davvero nel guardaroba. Nylon, fibre sintetiche, primi materiali impermeabili e traspiranti. Le Olimpiadi diventano il luogo in cui la ricerca scientifica si fa visibile, indossabile. I capi iniziano a essere pensati per il movimento, per la velocità, per la resistenza. La tuta non è più solo un indumento sportivo, ma un'anticipazione di ciò che finirà negli armadi di tutti. La moda quotidiana scopre che il comfort non è una resa, ma un'evoluzione. Il passaggio decisivo avviene tra Calgary 1988 e Lillehammer 1994. Qui l'abbigliamento invernale diventa sistemico. Modulare, stratificato, scientifico. Nasce il concetto moderno di layering, oggi applicato con disinvoltura anche da chi va in ufficio fingendo di essere un alpinista urbano. Strato base, isolamento, protezione esterna: una grammatica che le Olimpiadi hanno contribuito a codificare e che la moda ha tradotto in linguaggio quotidiano. Non si tratta più di coprirsi, ma di costruire un microclima personale.

Da quel momento il confine tra abbigliamento tecnico e moda si assottiglia fino quasi a scomparire. I marchi sportivi influenzano le passerelle, le maison guardano alla performance. Il piumino, un tempo ingombrante e funzionale, diventa oggetto di desiderio. La tuta, da uniforme atletica, entra nella cultura visiva contemporanea come simbolo di dinamismo, libertà, modernità. Le Olimpiadi insegnano che il freddo può essere gestito, dominato, persino raccontato.

Oggi il discorso si complica e si raffina. Tessuti intelligenti, materiali riciclati, attenzione ambientale. Le Olimpiadi sono la vetrina di una nuova ossessione: proteggersi senza pesare sul pianeta. La performance non basta più, serve una narrazione etica. L'abbigliamento invernale diventa manifesto: leggero, efficiente, responsabile. Il corpo resta al centro, ma non è più l'unico protagonista. C'è il clima, c'è il futuro, c'è una consapevolezza che la moda non può più ignorare.

Per questo, ogni Paese e ogni Olimpiade ha il proprio eroe dello stile, l'orgoglio nazionale che griffa i giochi vestendoli: Ralph Lauren negli Usa, Giorgio Armani in Itala (sì, sono ancora sue le divise ufficiali), Stella McCartney in Inghilterra, Lacoste in Francia, il compianto Issey Miyake in Giappone...

Raccontare come le Olimpiadi abbiano influenzato la moda dell'inverno significa raccontare un cambio di mentalità. Il freddo non è più una condanna, ma un problema risolvibile. L'abbigliamento non è più zavorra, ma identità. In mezzo ci sono atleti, ingegneri, stilisti e città di montagna che per qualche settimana diventano il centro del mondo. E poi ci siamo noi, che infiliamo una giacca tecnica per andare a lavorare e, senza accorgercene, indossiamo un pezzo di quella storia.

Il resto è lana. O memoria. O entrambe.