Vaclav Nedomansky, i fratelli Jaroslav e Jiri Holik, Jan Suchy, Vladimir Dzurilla e gli altri. Per i cecoslovacchi sono nomi di eroi indimenticabili: nel marzo del 1969 furono chiamati a giocare in nazionale ai mondiali di hockey di Stoccolma. Il sorteggio della competizione si rivelò beffardo: la Cecoslovacchia dovette affrontare l'Unione Sovietica, lo stesso Paese che sette mesi prima aveva posto fine alla Primavera di Praga. I carri armati russi avevano invaso le città ceche, sparando sulla folla; due mesi prima, in gennaio, uno studente, Jan Palach, si era dato fuoco per protesta.
La nazionale dell'Urss era la più forte del mondo: aveva vinto gli ultimi sei campionati mondiali e tre delle quattro precedenti Olimpiadi. Il destino del match sembrava segnato. Eppure a vincere, per due volte, furono proprio i cechi. Nella seconda sfida, terminata 4 a 3, Jaroslav Holik, dopo aver segnato il primo gol, agitò il bastone di fronte a al portiere avversario: "sporco comunista", gli urlò con tutto il fiato che aveva. A Praga 500mila persone scesero in piazza per festeggiare, la polizia reagì, ci furono feriti e arresti. Nella storia del Paese quelle giornate sono rimaste come la "rivolta dell'hockey".
La politica e la geopolitica si fanno anche sul ghiaccio. E anche alle Olimpiadi invernali. Come a Salt Lake City nel 1980, ad invasione dell'Afghanistan appena avvenuta: a sconfiggere l'onnipresente Urss furono questa volta gli Stati Uniti guidati dal capitano Mike Eruzione. Per i media Usa è rimasto come il match più importante della storia dell'hockey, uno dei passaggi più emotivamente "caldi" della guerra fredda.
I decenni sono passati e a Milano-Cortina 2026 uno dei momenti delicati potrebbe essere l'esibizione al PalaForum di Assago della stellina del pattinaggio artistico russo, Adeliia Tigranovna Petrosian. Il comitato olimpico le ha dato il via libera: può gareggiare come, atleta neutrale, senza inno e bandiera. Adeliia, a nemmeno 18 anni, è l'unica pattinatrice al mondo ad aver mai eseguito in gara un quadruplo loop. Una sua eventuale vittoria diventerebbe un caso non solo sportivo.
Con altri protagonisti, un altro punto caldo è al palazzo del ghiaccio di Santa Giulia. A giudicare dai pronostici la finale annunciata del torneo di hockey maschile potrebbe essere Stati Uniti-Canada, una riedizione della finale del torneo delle "Quattro nazioni", giocata a Boston qualche mese fa. Trump aveva appena definito il vicino più a Nord come il "51esimo stato americano". La protesta canadese culminò con una vittoria di misura sul rink. Da Montreal a Vancouver i vincitori festeggiarono irridendo sui social le pretese dell'inquilino della Casa Bianca. "Non puoi fare il padrone del nostro Paese, come non puoi fare il padrone del nostri sport", scrisse l'allora premier Pierre Trudeau, con un riferimento al fatto che l'hockey è nato proprio in Canada.
Una presa in giro tutto sommato innocente e inoffensiva se si pensa alla valenza geopolitica assunta dalle ultime Olimpiadi invernali, svoltesi a Pechino nel 2022. Uno degli ospiti di riguardo alla cerimonia d'apertura fu il presidente russo Vladimir Putin. A prima vista la sua era una presenza perfino incongrua, visto che ai Giochi non c'era una squadra ufficiale di Mosca, a causa delle sanzioni successive all'occupazione della Crimea. La coincidenza delle date però, secondo molti analisti, contribuisce a spiegare i motivi della visita: le Olimpiadi si chiusero il 20 febbraio, il 24 la Russia invase l'Ucraina. Secondo il New York Times Putin era arrivato per avvisare i leader cinesi, che a sua volta lo pregarono di aspettare la fine della gare.

