"Perché non conta soltanto vincere"

Scritto il 28/10/2025
da Sergio Arcobelli

Di Centa, Rocca e Razzoli hanno fatto la storia degli sport invernali. Tutti e tre narrano le paure, le speranze e la fatica di chi insegue un grande sogno

Cadere e rialzarsi, mostrare tenacia e ostinazione, imparare dalle esperienze per diventare più forti e saggi. Tre grandi nomi degli sport invernali tricolori come Manuela Di Centa, Giorgio Rocca e Giuliano Razzoli hanno preso la parola all'evento del Giornale "100 giorni a Milano Cortina 2026. Il racconto dei Giochi". Nel dialogo moderato dai giornalisti Benny Casadei Lucchi e Vittorio Macioce, i tre campioni dello sci azzurro hanno rievocato le proprie imprese e arricchito la platea di aneddoti dell'epoca. "Non tutto si può fare, ma abbiamo fatto tanto", dicono i tre all'unisono sottolineando che senza la fatica non si raggiunge la gloria. La Di Centa, regina del fondo, sette medaglie olimpiche e due Coppe del Mondo in bacheca, è stata campionessa di uno sport che ha reso popolare negli anni '90 con i trionfi femminili insieme a Stefania Belmondo. "Sappiamo quanto lungo e difficile sia il percorso per arrivare in alto. Con lei una rivalità che ha aiutato a farci migliorare. Io ho debuttato nella mia prima Olimpiade a Sarajevo, quando ancora c'era la Jugoslavia, nel 1984, per poi finire nel '98. Quella bambina ne ha fatta di strada, anche se mio padre, maestro di sci e mio primo allenatore, mi diceva: ma chi te lo fa fare? E adesso penso a quanti bambini potranno prendere la slitta e poi magari un giorno presentarsi sulla pista di Cortina che ci mancava ed è stata costruita grazie al governo. Le lacrime di Zoeggeler quando ha capito che l'avrebbero fatta mi hanno toccata. La cosa più bella di noi italiani è che al di là dei litigi, quando vogliamo qualcosa la portiamo a casa". La pasionaria Manuela, già parlamentare di Forza Italia e oggi membro onorario del Cio, è stata la donna di Lillehammer '94 con i cinque metalli di cui due ori. È salita fino alla cima dell'Everest per lanciare messaggi nobili. "Lo sport non è solo medaglie, ma ti insegna a vivere con una filosofia e i valori olimpici sono una filosofia di vita". Sport che è entrato anche nella nostra Costituzione. Come ha detto ieri il presidente del Coni Lombardia Marco Riva: "L'articolo 33 riconosce il ruolo e il suo valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico". Giorgio Rocca ha raggiunto vette altissime in slalom e per anni è stato accostato a Tomba, ma ha commesso un errore nel giorno in cui stava provando a scalare l'Olimpo: "Quando sono caduto a Torino ho sperato per 10 secondi che fosse un sogno. Lo sci è uno sport che ha 100 variabili e ha ragione Sinner: nel tennis sei fai un errore hai la possibilità di rimediare, nello sci basta un piccolo errore e sei fregato. Quel giorno l'apripista è stato Giuliano Razzoli". Ma Razzo, scatenando un momento di ilarità, precisa: "Non ho rovinato la pista io, non è colpa mia se sei caduto...", sorride il campione olimpico di Vancouver, che ricorda di quando ha iniziato a sciare. "Avevo 4 anni, a Febbio sull'Appennino reggiano c'era una stazione che purtroppo non c'è più. Fu amore a prima vista. Sono nato a Razzolo e correvo per lo sci club Razzolo, eravamo due atleti. Quando arrivavo sulle Alpi ero sempre quello sfortunato dell'Appennino". Giuliano resta l'ultimo oro olimpico al maschile ed è colpa anche della crisi di talenti che ci ha colpiti. "Mi dispiace perché fino ai 14-15 anni abbiamo ragazzi fortissimi spiega Rocca , ma si perdono subito perché sono esasperati e devono vincere da cuccioli. In Norvegia, fino ai 12 anni non si usa il cronometrot". Per Razzoli l'altro problema è che oggi "tanti vogliono l'allenatore privato come Sinner e devi avere un sacco di soldi per poterlo fare. E poi noi prepariamo i giovani a vincere da giovani e non prepariamo i giovani a vincere quando saranno adulti: non è la strada giusta".

Infine, un doveroso ricordo per Matilde Lorenzi, di cui oggi ricorre l'anniversario della tragica morte. "È stata una fatalità commenta Rocca , ma tutti possiamo fare qualcosa di meglio sulla sicurezza. Se devo fare un appunto, dico che gli atleti di oggi li vedo meno concentrati. Quando ci si allena ci si allena e basta. Perché è uno sport altamente pericoloso".