È la numero 1 oltre i 10mila. Tedofora lei stessa, prima ancora di chi la porta. Essential. Essenziale. Non poteva avere nome più simbolico la torcia Olimpica in viaggio verso Milano Cortina, lei che da sempre alimenta di simboli il suo fuoco. Minimalista, in ottone e alluminio, progettata per restare discreta e non prevaricare la fiamma che custodisce. Non reclama attenzione. Vuole servire ciò che conta. Viaggia senza mai fermarsi, arde senza mai consumarsi.
Da Olimpia fino alle Alpi, il suo cammino è una staffetta di eredità che partono da lontano prima ancora di quelle 20mila mani e altrettanti piedi che a 4 chilometri orari percorrono 12mila chilometri in 63 giorni con 60 città a fare tappa. Atleti e campioni, attori, cantanti, calciatori, sciatori, ori olimpici, conduttori tv, registi, e poi chef, panettieri, bibliotecarie, artigiani, storie di ordinaria eccezionalità, persino un cane, Chico. Come sempre sconosciuto fino all'ultimo chi percorrerà l'ultimo tratto verso il braciere.
Non è la popolarità a fare da selezione per entrare nella carica dei 10.001, quanto il messaggio che può portare con sé durante quel piccolo grande tratto di cammino da percorrere. Per candidarsi a portare la Fiaccola basta essere nati prima del 2011, non essere politici, condannati, dopati, o autorità religiose. Il simbolo non può avere appartenenza. Il simbolo si nutre di riti che a guardarli oggi con quella certa superficialità viziata dalla contemporaneità social, potrebbero apparire quasi naïf.
La fiamma non viene accesa con un banale accendino o tutt'al più con un rustico fiammifero. Nasce nel bosco sacro dell'antica Olimpia, dove nacquero i Giochi quasi tre millenni fa, con una Cerimonia davanti al Tempio di Hera, un'attrice nelle vesti di sacerdotessa che invoca il dio Apollo affinché invii la sua luce, catturando i raggi del sole con uno specchio parabolico. E se il cielo non collabora, banalmente è nuvoloso (come è successo per le olimpiadi di Milano Cortina 2026) si ricorre a una sorta di "fiamma di riserva", accesa durante la prova generale, in un giorno soleggiato, e conservata proprio per rispettare la sacralità dell'evento. E così prosegue il suo viaggio. Non viene mai lasciata sola la Fiamma Olimpica. Se si spegna durante il cammino non accade nulla di irreparabile. Con lei, dietro di lei come fedeli ancelle viaggiano diverse lanterne costantemente alimentate in cui il fuoco viene conservato. Non sono semplici backup, da riaccendere con un click all'occorrenza. Sono sentinelle silenziose del rito, scrigni erranti che custodiscono la luce originaria, metafore più grandi di un'idea che non può permettersi black out. Per questo vengono vegliate giorno e notte da guardiani che hanno questo compito durante tutto il viaggio, come vestali contemporanee custodiscono la fiamma autentica, pronti a riaccendere ogni mattina la torcia senza mai spezzare il legame con Olimpia.
Nella storia olimpica il fuoco ha compiuto imprese che sembrano leggenda. Ha viaggiato via satellite a Montréal 1976, trasformato in impulso elettronico e riacceso da un laser: il mito che incontra la tecnologia. Ha solcato il Mississippi verso Atlanta 1996, viaggiato in gondola a Venezia, a cavallo a Stoccolma, su canoe amerindie e treni transcontinentali. A Sydney 2000 ha brillato sott'acqua nella Grande Barriera Corallina; prima di Torino 2006 è salita su una Ferrari, per Pechino 2008 ha raggiunto la vetta dell'Everest. Nel 2013 ha persino lasciato la Terra, portata sulla Stazione Spaziale Internazionale: spenta per sicurezza, ma simbolicamente ardente, mostrata al cosmo come un'invocazione universale. Poi è tornata, attraversando il Polo Nord e le profondità del lago Baikal, per accendere Sochi 2014.
Ma il suo viaggio più speciale resta dentro le lanterne custodi della tradizione che inanella i cinque continenti con il suo messaggio di pace.

