Decidere. Luce verde o semaforo rosso per il ricorso agli asset russi congelati nel Vecchio Continente per finanziare un prestito di riparazione per l'Ucraina. Nei due anni a venire, ha spiegato ieri von der Leyen all'Europarlamento, il Fondo monetario internazionale e le nostre stime indicano che il fabbisogno di Kiev per tenere in piedi la macchina amministrativa del Paese "ammonterà a poco più di 137 miliardi di euro, l'Europa dovrebbe coprire i due terzi, 90 miliardi". Un tema "decisivo" per il futuro dell'Europa, spiega la presidente della Commissione Ue. Questo il refrain con cui oggi si apre il Consiglio europeo. Ci sarà, in presenza e non solo in video, anche il presidente ucraino Zelensky assieme ai 27 leader.
Consapevoli che la decisione sul punto può esser presa anche a maggioranza, certi Paesi sono pronti ad esplorare una seconda via per finanziare Kiev. Quella filtrata senza conferme dalla presidente della Bce, Lagarde: se si è usata la procedura di emergenza (l'Art. 122) per immobilizzare quegli asset sine die, sarebbe possibile procedere pure nell'emissione di debito comune, per il quale serve l'unanimità e c'è il veto di Budapest, riflette una fonte Ue.
Il nodo incrocia una necessità politica (non sconfessare la strategia Ue finora in campo) con rischi non solo giuridici. Ieri, intanto, l'annuncio del premier britannico Starmer: Londra trasferirà all'Ucraina 2,5 miliardi di sterline d'interessi ricavati dai fondi congelati al magnate russo Roman Abramovich, in quanto ex proprietario del Chelsea. Ed è pronta ad avviare azioni legali per accedere al suo intero patrimonio britannico, se non manterrà la promessa di devolverlo a Kiev. L'Ue fa i conti con rimostranze e preoccupazioni soprattutto per le garanzie finanziarie basate sul totale dei 210 miliardi di asset immobilizzati: chi vota a favore dell'uso dovrebbe accettare di mettere mano al portafoglio in caso di ribaltoni in tribunale: Mosca terrà un'udienza preliminare il 16 gennaio sulla causa intentata dalla Banca centrale russa contro il depositario belga.
A oggi la proposta osserva il criterio del reddito nazionale lordo. A Roma spetterebbero circa 25 miliardi di garanzie, se accettasse. Meloni ha ribadito: cautela. Oltre a von der Leyen, in pressing va il cancelliere tedesco Merz; disposto perfino a mettere sul piatto più di quanto sarebbe dovuto da Berlino pur di mettere mano al "freezer" europeo. Ungheria smarcata da quella che Orbán ritiene una confisca. Una ventina i favorevoli. Per lo slovacco Fico, si potrebbero usare i beni russi solo in un accordo di pace, e col placet di Mosca. Italia, Malta, Bulgaria, Belgio hanno già chiesto di chiarire se l'operazione può reggere in tribunale. Si è aggiunta la Repubblica Ceca. Difficilmente un via libera a maggioranza arriverà oggi. Pronti a una riunione fiume, fino a domani. Escluso dai più un ruolo della Bce come prestatore di ultima istanza, vietato dai Trattati, potrebbe essere la Commissione a prendere in mano l'onere di intervenire in extremis, se gli Stati garanti del prestito fossero in difficoltà. Ma il Belgio chiede condivisione dei rischi e frena ancora. Specie dopo che ieri l'agenzia Fitch ha avvertito Euroclear, l'istituto-congelatore, di un possibile declassamento del suo rating AA riflettendo i timori di "rischi di liquidità e legali potenzialmente aumentati".
Vari 007 Ue citati dal Guardian denunciano pressioni sui vertici di Euroclear, ma anche su politici e manager belgi affinché il Paese si opponga in Consiglio. Von der Leyen ieri ha denunciato una moderna guerra ibrida iniziata da Mosca. E secondo quattro funzionari europei citati da Politico.eu, l'amministrazione Trump avrebbe fatto pressione sui governi europei più amici perché respingano l'uso degli asset russi in favore dell'Ucraina.