"Porcellini accodati al padrone americano". Con questa immagine volutamente brutale, Putin ha scelto di riassumere il suo giudizio sull'Europa, inaugurando l'ennesima offensiva verbale che accompagna, e anticipa, le mosse militari e diplomatiche del Cremlino. Il presidente russo non parla mai per caso, nemmeno quando indulge nella metafora sprezzante. Paragonare gli europei a "porcellini" che si sarebbero messi in fila dietro Biden significa delegittimare l'autonomia politica dell'Ue e ridurre il fronte occidentale a una propaggine dell'America. È un'accusa che oggi assume un valore strategico: serve a chiarire che, per Mosca, il tavolo vero non è a Bruxelles né a Kiev, bensì a Washington.
Nel suo intervento al ministero della Difesa, Putin ha ribadito una narrazione ormai consolidata: l'operazione militare in Ucraina sarebbe stata provocata dall'Occidente con l'obiettivo di "far crollare la Russia". Un calcolo che, a suo dire, si è rivelato fallimentare. Ma è sul terreno diplomatico che il messaggio si fa quasi ultimativo. Putin dice di essere disposto a trattare, ma solo a condizioni precise: negoziati "concreti", che presuppongano il riconoscimento dei territori che Mosca considera propri. In caso contrario, avverte, li prenderemo "con mezzi militari". Non è una minaccia nuova, ma è accompagnata da un dato politico rilevante: il Cremlino non mostra alcuna urgenza di fermare l'offensiva. Anzi, secondo il ministro della Difesa Belousov, il compito per il prossimo anno sarà "mantenere e aumentare i ritmi delle operazioni", con l'Europa e la Nato accusate di preparare le condizioni per un conflitto che potrebbe protrarsi fino al 2026. Ne è convinto anche Zelensky, che avverte gli alleati, soprattutto dopo che Belousov ha rivelato che nel 2025 la guerra è costata a Mosca 120 miliardi di euro, ovvero il 5,1% del Pil, e che non mancheranno nuovi e abbondanti finanziamenti per il prossimo anno. "La Russia si prepara a un 2026 all'insegna della guerra", scrive il leader di Kiev che raggiunge con la Germania un accordo per un finanziamento di 1,2 miliardi di euro destinato alle forze armate. Nonostante il fiume di denaro riversato nel riarmo, Putin liquida come "assurdità" l'ipotesi di una minaccia diretta contro l'Europa, anche se insiste nel rappresentare l'Occidente come parte in causa del conflitto, costruendo così la cornice narrativa che giustificherebbe ogni possibile escalation come legittima difesa.
Mosca comunque resta in attesa di segnali da Washington. A ribadirlo è il portavoce Peskov, che esclude nel breve una visita dell'inviato speciale Usa Witkoff. Il Cremlino vuole misurare fino a che punto siano pronti a spingersi su un'ipotesi di pace che includerebbe il rafforzamento dell'esercito ucraino, il dispiegamento di truppe europee e un ruolo chiave della Cia, ipotesi discusse nel corso dell'incontro a Berlino tra i vertici Ue e Nato. Scenari guardati con diffidenza da Mosca, soprattutto per la netta contrarietà a qualsiasi presenza militare straniera in Ucraina. Sul dossier sanzioni, Peskov conferma: nuove misure comprometterebbero la normalizzazione dei rapporti bilaterali.
A completare il quadro arrivano da Minsk le parole di Lukashenko, che individua in Trump il vero ago della bilancia per la pace e invita l'Europa a "non interferire". Dall'altra parte, von der Leyen parla di un "mondo di predatori" e di una Russia che guarda oltre l'Ucraina, alimentando la percezione di una minaccia sistemica.